Interviste
2011
Luisa Corna
Matteo Cavallieri
Disaccordi legali
Nell'autunno del 2010, Luisa Corna (Londra), grafica e ricercatrice, e il filosofo Matteo Cavalleri (Palermo) hanno realizzato il progetto Disaccordi legali a Villa Romana. Si trattava di strategie artistiche di sovversione e di forme divergenti di rappresentazione del centro di Firenze esageratamente amministrato. Il seguente testo è un estratto delle loro riflessioni sul progetto.
Art. 54, Tuel (D. lgs. 267 /2000)
(vecchia formulazione ante agosto 2008)
co. 2. "Il sindaco, quale ufficiale del Governo, adotta, con atto motivato e nel rispetto dei principi generali dell'ordinamento giuridico, provvedimenti contingibili e urgenti al fine di prevenire ed eliminare gravi pericoli che minacciano l'incolumità dei cittadini per l'esecuzione dei relativi ordini può richiedere al prefetto, ove occorra, l'assistenza della forza pubblica."
modifiche introdotte nel 2009:
Il sindaco "… adotta con atto motivato provvedimenti, anche contingibili e urgenti nel rispetto dei principi generali dell'ordinamento, al fine di prevenire e di eliminare gravi pericoli che minacciano l'incolumità pubblica e la sicurezza urbana."
Il decreto 92 /8, promosso dal Ministro dell'interno Roberto Maroni e approvato dal Senato nel 2009, introduce una piccola ma sostanziale modifica al testo legislativo che definisce il potere dei sindaci in materia di ordinanze.1 Tramite l'aggiunta minima della parola anche, l'ordinanza non è più giustificata da situazioni che presentino i caratteri della necessità e dell'urgenza, ma diventa strumento di disciplina ordinario a disposizione dei primi cittadini. Da espressione degli accordi tra elite rappresentate nel consiglio comunale, il sindaco diviene playmaker legittimato dall'investitura diretta degli elettori, e quindi responsabile e risolutore di istanze e paure presenti sul territorio (Lorenzetti, 2010). La proliferazione di ordinanze a cui abbiamo assistito negli ultimi anni, ha confermato il sospetto iniziale che questa variazione minima del testo legislativo fosse in realtà foriera di trasformazioni significative che avrebbero inciso sui diritti e le libertà individuali. Oltre al generale deficit democratico, questa serie di microordinamenti, accomunati non tanto da un filo logico normativo quanto dall'urgenza personale di rispondere a problemi non adeguatamente gestiti a livello nazionale (Lorenzetti, 2010), ha generato una progressiva frammentazione legislativa.
Ad uno sguardo attento all'evoluzione storico-simbolica dei soggetti del potere, l'elemento dell'investitura personale, oltre a riecheggiare di tutto l'armamentario iconografico populista, permette di traslare la figura del sindaco sul piano della sovranità e, per la precisione, di situarla nello specifico momento storico2 in cui il potere del sovrano acquista la fisionomia del potere di polizia e si contraddistingue così da quello giudiziario. L'attuale massiccio ricorso all'ordinanza non è infatti che la riconferma contemporanea della sfasatura – sia a livello normativo sia a livello politico – che sussiste tra la dimensione della polizia e quella della legge sin dalla loro genesi per contrasto. I due piani nascono come non assimilabili e la dimensione urbana costituisce sin da subito l'orizzonte del loro conflitto: "La polizia non è la giustizia […]. Certo, come la giustizia, la polizia è un'emanazione del poter regio, ma resta comunque distinta. In quest'epoca la polizia non è affatto pensata come uno strumento nelle mani del potere giudiziario, come un modo per applicare effettivamente le decisioni di giustizia. Non è un prolungamento della giustizia, non è il re che agisce mediante il suo apparato di giustizia, ma è il re che agisce direttamente sui sudditi, in una forma non giudiziaria" (Foucault, 2005, pp. 245 - 246). La polizia si caratterizza quindi come un continuo gesto di governance diretta del sovrano in quanto individuo sovrano. Paradossalmente la polizia è "il colpo di stato permanente, che si eserciterà in nome e in funzione dei principi della sua stessa razionalità, senza doversi conformare o modellare sulle regole della giustizia stabilite altrove" (Foucault, 2005, ibidem). E la razionalità interna della polizia, la sua grammatica, non fa che riemergere nei suoi strumenti: l'ordinanza, il regolamento e il divieto.
Se, da un lato, all'astrattezza formale dell'impianto legislativo si contrappone la personificazione del potere di governance incarnato dalla figura del sindaco-sovrano; dall'altro, l'universalità della legge si imbatte nella microfisica dell'intervento regolativo, nell'esasperata passione per il dettaglio dell'ordinanza. Oggi come a fine settecento: "I regolamenti di polizia sono di una specie diversa da quella delle altre leggi civili. Le cose di polizia sono cose di ogni istante, mentre le cose di legge sono definitive e permanenti. La polizia si occupa di inezie, mentre le leggi si occupano delle cose importanti. La polizia si occupa continuamente di dettagli" (Caterina II di Russia, 1769, § 535). Ma nella metropoli contemporanea (intesa qui come forma dello spazio urbano) i contesti d'azione della polizia e della giustizia non sembrano più rigorosamente contingentati come suggeriscono i propositi irenici di Caterina II; l'intorno d'azione della polizia non pare più costituirsi di inezie, dal momento che i tratti biologici caratterizzanti la specie umana (dal nutrirsi al lavarsi, solo per riferirsi ad alcuni topoi ricorrenti delle ordinanze) sono divenuti l'oggetto specifico della politica e della sua strategia di potere. Il potere di polizia incarnato oggi dai sindaci produce quindi antinomie pericolose nella trama legislativa che minano quotidianamente lo statuto di sicurezza democratica delle nostre città. L'incoerenza risultante è duplice: mentre viene a mancare ogni soluzione di continuità legislativa tra comuni e province anche se contigui, le ordinanze risultano incongruenti rispetto a diritti e libertà costituzionalmente garantiti a livello nazionale. In termini spaziali siamo di fronte a contraddizioni tanto orizzontali (tra comune e comune), quanto verticali (tra comune e nazione). Qualche esempio: le ordinanze contro burqa e burquini sono divieti contraddistinti da una specifica discriminazione di genere e quindi incompatibili con l'articolo 3 della Costituzione che difende l'uguaglianza di tutti i cittadini di fronte alla legge; parimenti, il divieto di volantinaggio risulta in contraddizione con l'articolo 21 che difende la libertà di espressione.
Ed è proprio dalla rilevazione dei paradossi contenuti e prodotti dal sistema delle ordinanze che nasce il progetto Disaccordi legali. Arrivati a Firenze e posti di fronte ad una miriade di micro divieti, abbiamo intrapreso un'investigazione dell'esubero normativo e iniziato a pensare come una serie di interventi artistici e riflessioni teoriche potessero far emergere e occupare le fessure che la trama legale contempla. Le ordinanze in cui siamo incappati, inizialmente come visitatori e abitanti e solo in un secondo momento come organizzatori dell'iniziativa, spesso mirano a sancire comportamenti prima che si verifichino3. L'interdizione diviene preventiva: l'ipotetica predisposizione ad infrangere è equiparata al compimento effettivo dell'infrazione. L'urgenza di controllo sociale scivola pericolosamente verso uno spazio in cui alla necessità di evidenze subentra il sospetto; il pericolo non va individuato, misurato, ma solamente presagito: le prove di colpevolezza, non più rilevazioni condivise, divengono intuizioni solo personali. Proprio questa centralità del sospetto disvela l'incompatibilità dell'ordinanza con la ricerca della sicurezza. L'applicazione una tantum di un divieto ad un settore della città non può infatti fare gioco con la dimensione rigorosa della progettazione e dell'intervento a lungo termine che contraddistingue le politiche di sicurezza e le differenzia da quelle disciplinari.
Da una disamina attenta alla formulazione di alcune ordinanze, traspare infine un aspetto sottilmente elusivo. Dovendosi attenere ad un principio di uguaglianza che impedisce la sanzione di specifici gruppi sociali, le ordinanze vietano quelle azioni e quei comportamenti da cui questi gruppi sono univocamente identificati. Anna Lorenzetti definisce tali meccanismi metonimici come forme di "discriminazione indiretta", e ricorda, a proposito, che tutti i recenti divieti a connotazione religiosa riguardano i cittadini non cattolici, per la maggior parte stranieri (Lorenzetti, 2010). Più che di fronte ad un intervento normativo (di normazione di comportamenti), l'ordinanza promuove continue pratiche di normalizzazione di quelli che sono considerati gli elementi che non rientrano nella perfetta amministrazione delle parti operata dalla polizia, delle tessere considerate anormali, dei senza-parte (Rancière, 2007). L'ordinanza,a differenza della legge, non mette in relazione un comportamento con una norma, ma definisce una pericolosa, quanto fantomatica, idea di normalità alla quale commisurare la complessità del reale: "Io credo, tuttavia, che occorra mostrare come il rapporto tra la legge e la norma indichi la presenza intrinseca, quasi fondatrice, in ogni imperativo legale, di una sorta di normatività, che non può essere confusa, però, con ciò che ho cercato di qualificare con espressioni come procedure, procedimenti o tecniche di normalizzazione. Direi semmai il contrario: è vero che la legge si riferisce a una norma, ma il problema che mi interessa è mostrare come si sviluppino delle tecniche di normalizzazione a partire, al di sotto, ai margini e persino in opposizione a un sistema imperniato sulla legge" (Foucault, 2005, p. 50). Prima (o forse meglio contro a) di una tensione normativa (di un'idea di dover essere), nell'ordinanza agisce ciò che, del tutto aleatoriamente, è supposto come modello di normalità (declinato nelle sue molteplici accezioni di tradizionale, autentico, tipico…)4. La normalizzazione, una volta sganciata da qualsiasi ordine normativo, si esprime quindi in violente azioni di sterilizzazione sociale e di impoverimento di quelle che sono le potenzialità progettuali disseminate all'interno dello spazio urbano.
Oltre all'intrinseca funzione disciplinante e discriminatoria delle ordinanze sindacali, è proprio questa loro relazione con lo spazio che la nostra iniziativa ha inteso esaminare, in tutta la sua portata politica. Tramite la serie di interventi, proiezioni e dibattiti che si sono alternati per un mese dentro e fuori Villa Romana, abbiamo cercato di rintracciare in Firenze le modalità paradigmatiche con cui le politiche securitarie stanno trasformando lo spazio urbano. Il capoluogo fiorentino costituisce infatti uno degli esempi più eclatanti di una tendenza regolamentatrice rintracciabile su intera scala nazionale.
All'interno della città tale tendenza manifesta una specifica variazione di intensità: procedendo dalla periferia verso il centro, il controllo si accentua progressivamente assumendo le forme visibili delle telecamere, dei cartelli e della polizia municipale. Benché quella interna al perimetro delle antiche mura resti l'area maggiormente costretta, i divieti vengono applicati anche ad una serie di zone esterne al centro storico che rappresentano, per la popolazione residente, importanti spazi di socializzazione5. Alla luce di queste considerazioni, perde coerenza l'inderogabile responsabilità di preservazione architettonica con cui l'amministrazione ha spesso giustificato le ordinanze contro il bivacco o il consumo di alcool e cibo. La zona del Parco delle Cascine, a cui si applica il divieto di possesso alcolici oltre l'uso personale, non sembra necessitare alcuno zelo conservativo. Questa modalità regolamentativa mirata produce uno spazio di discontinuità normativa; l'ordinanza non reprime in maniera assoluta, piuttosto punisce chirurgicamente e cerca di delocalizzare pratiche di vivibilità dello spazio non ordinarie. Sembra esserci una consapevolezza di fondo che non si tratti di comportamenti propriamente illeciti, ma di pratiche non conformi ad un'idea precisa di decoro e quindi destinate all'esclusione dal campo visivo.
Nel caso specifico di Firenze, la necessità di difesa del patrimonio artistico e architettonico risulta congeniale all'emanazione di una serie di ordinanze che hanno limitato modalità di fruizione dello spazio diverse da quella turistica. Seppur nella pretestuosità del riferimento all'ambito conservativo, si esprime qui un'idea del tutto perversa e restrittiva della conservazione, un'idea ovvero che considera i manufatti architettonici come elementi dalla fruibilità monolitica e che trascura qualsiasi riflessione sulla relazione tra soggetto (colui che abita) e monumento. L'eccessiva regolamentazione immobilizza il cittadino contemporaneo e lo priva dell'accesso a quella risignificazione dei monumenti auspicata da una pratica conservativa che si fonda sul gioco di rimandi e progettualità tra i soggetti di ogni epoca e i manufatti artistico /architettonici, ben al di là delle intenzionalità originarie dei loro autori (cfr. Riegl, 1903). Non va dimenticata, inoltre, la componente fittizia di quell'autenticità storica che proprio tramite le ordinanze si dichiara di voler preservare. Un'insegna poco nota ai turisti collocata in piazza della Repubblica ("L'antico centro della città da secolare squallore a vita nuova restituito") ricorda l'operazione urbanistica di fine ottocento che portò alla distruzione e alla successiva riedificazione di tutto il nucleo medioevale della città. Una buona parte del centro storico risale quindi a tempi relativamente recenti rispetto a quello che l'apparato turistico-comunicativo ci induce a pensare6. Se da un lato formale prevale l'ostilità verso qualsiasi modifica, anche se temporanea7, negli ultimi anni le scelte politiche sembrano aver incoraggiato trasformazioni profonde del tessuto sociale cittadino. Lorenzo Tripodi definisce questa compresenza di tendenze antitetiche come trasformazione conservativa (Tripodi, 2004, p. 125). Il repentino aumento del costo degli affitti nel centro storico ha causato la proliferazione di attività commerciali temporanee altamente lucrative a discapito dei piccoli negozi, oltre ad un vero e proprio esodo della popolazione residente verso località satellite – si pensi che solo tra il 1999 e il 2001 la perdita degli abitanti ha raggiunto l'11% (Tripodi, Colini, Zetti 2004).
Il problema dell'uso strumentale della preservazione architettonica e gli effetti paralizzanti che ne derivano sono oggetto di Il salvataggio dei centri storici Italiani, uno dei primi lavori del gruppo Superstudio. L’opera, realizzata nel 1977 e punto di partenza della lettura /performance d'apertura di Disaccordi legali, oltre a fornire una profondità storica al problema conservativo, sembra suggerire come un certo immobilismo creativo e formale – di matrice italiana – abbia spesso nascosto un'operosità sotterranea a beneficio di pochi. Nella tavola del collettivo fiorentino – che si presenta come un eterogeneo assemblaggio di fotomontaggi, testi esplicativi e alcuni disegni tecnici relativi agli interventi – la radicalizzazione del problema diventa una paradossale soluzione: viene infatti messa in discussione un'idea di conservazione che invece di contemplare la trasformazione insiste nel congelare il presente, o addirittura cerca di ricondurre con violenza ad un passato di cui si è persa traccia. Se il problema che attanaglia Firenze è quello della preservazione, perché non riportare la città allo stato di sommersione del '66? Gli edifici sembrano custodirsi più a lungo sott'acqua che se esposti ad agenti atmosferici, ed una serie di nuove possibilità nasceranno da questo mutamento radicale dei volumi. Ancora: perché in simultanea al tentativo di raddrizzare la torre di Pisa non si inclina tutta la città? In questo nuovo scenario, dove l'eccezione diviene normalità, sarà la perfetta ortogonalità del monumento a risultare sbagliata. Il parossismo rappresentativo di Superstudio sembra una reazione all'impossibilità di agire sul reale: di fronte all'assenza di progetto, alla sordità del contesto rispetto ad ogni proposta di intervento, il gruppo fiorentino ricorre all'escapismo fantascientifico. Non si tratta, però, di semplice abdicazione allo stato delle cose: le immagini distopiche, largamente distribuite e pubblicate, sollecitano tanto gli amministratori quanto i cittadini ad una presa di coscienza dello stato di inerzia che imbriglia gli spazi abitativi. Non mere assurdità progettuali, ma emersioni di possibili pratiche di senso legate alla situazione reale (ma non scorta) di una città e alla propria evoluzione. Il lavoro dei Brave New Alps si articola in due fasi e direzioni opposte: in un primo tempo si dirige oltre il centro storico, alla ricerca di quelle realtà artigianali che sono state spinte fuori dalle mura dalla terziarizzazione e dall'aumento dei prezzi; in un secondo momento, invece, si focalizza sulla piazza del mercato, dove alle bancarelle legali si alternano venditori abusivi. Non si tratta di una semplice rilevazione: dopo essere entrati in contatto con lo stampatore Broggi, i Brave New Alps utilizzano i macchinari della vecchia tipografia per produrre una serie di stampe che cercheranno di vendere abusivamente nel centro storico. La raccolta di informazioni avviene tramite un tentativo di infiltrazione, ma senza alcuna velleità mimetico-identificativa nei confronti delle persone e dei contesti osservati. Se l'incontro con Broggi, e l'uso della tipografia, diventa un pretesto per indagare l'esplosione del mercato degli affitti fiorentini e la conseguente marginalizzazione di tutte le attività artigiane, la giornata da ambulanti abusivi è occasione per carpire gli espedienti che permettono a questi piccoli venditori di sopravvivere ai controlli. Emerge un'ingegnosità pratica intimamente legata ad una condizione di necessità: stampe disposte in modo da poter essere raccolte con un solo gesto, sedie pieghevoli da portare a tracolla, segnali impercettibili e cumuli di multe mai pagate nella convinzione che se non si possiede nulla, nulla può essere pignorato. Nessun richiamo o sanzione legale sembra turbare invece la vendita delle stampe dei due artisti; ancora una volta emerge come un'arbitraria percezione di normalità anticipi e soppianti la dimensione propriamente normativa dell'ordinanza. Le microstorie raccolte, così come l'esperienza diretta, diventano un pretesto per gettare luce su meccanismi più ampi: per quanto la maglia regolamentativa si infittisca, non è possibile eliminare le fessure, i casi non previsti, che assicurano agli abusivi la sopravvivenza (un poliziotto, chiacchierando con i Brave New Alps, lamenta come la mancanza degli strumenti necessari per estirpare il problema dei venditori illegali non possa che condurre ad una battaglia infinita).
È la periferia, invece, lo spazio in cui si muove Cartografia Resistente che intraprende, a partire dal 2004, un progetto di mappatura collettiva raccolto in una pagina wiki consultabile e aggiornabile dagli utenti. L'iniziativa si articola in una serie di triangolazioni: sulla mappa della città viene tracciata una forma geometrica che unisce aree in espansione a zone fuori dagli itinerari più frequentati, rispettivamente l'ex-Fiat, la zona Ikea ed il carcere di Sollicciano. L'obiettivo è quello di seguire fedelmente le rette disegnate sulla mappa, così da incappare in tutto quello che sarebbe impossibile vedere seguendo strade già battute. Questo costringersi ad andare fuori rotta conduce Cartografia Resitente in mezzo al niente, in aree interstiziali e disadorne, tra i detriti, in cantieri mai conclusi e fabbriche dismesse. I partecipanti annotano meticolosamente ogni dettaglio, dai nuovi e monolitici progetti architettonici, fino agli interventi meno percettibili; alle trasformazioni evidenti, straordinarie, si aggiunge l'esame di quello che Perec definisce l'infra-ordinario (Perec, 1997). Una serie di ostacoli fisici, estranei alla rappresentazione cartografica, costringono il gruppo a costanti deviazioni di percorso. La linea retta si incurva, e il desiderio di attraversare liberamente uno spazio deve confrontarsi con barriere materiali che rendono visibili esclusioni e marginalizzazioni politiche. La volontà di oltrepassare limiti e recinzioni si fa esitante all'ingresso del campo nomadi clandestino Masini: perlustrare e riappropriarsi di un territorio non significa semplicemente forzarne le barriere, ma capirne la diversa valenza politica, alternando attraversamenti ed osservazioni a distanza. Più che l'analisi delle rilevazioni, è la coralità dell'iniziativa e la sua capacità di catalizzare relazioni sociali e pratiche politiche, il punto di forza delle cartografie. Oltre alla pagina web wiki, l'attività del gruppo si è resa pubblica attraverso una serie di iniziative, tra queste l'esposizione al centro sociale elettro+ nell'estate 2005, a seguito delle quali si sono aggiunti nuovi partecipanti e contromappature.
L'espediente della costrizione spaziale fa da sfondo anche all'ideazione e all'elaborazione del film Napoli Piazza Municipio (regia di Bruno Oliviero, Italia 2008). Il film è stato infatti girato facendo in modo che la macchina da presa non uscisse mai dalla piazza in questione. Assumendo la prospettiva di una telecamera per videosorveglianza, l'occhio digitale del regista segue la superficie delle storie che in quella piazza prendono forma o che semplicemente vi transitano, per uscirne cambiate o anche solo minimamente deviate. Pur adottandone la postura, la macchina di Oliviero mette però in evidenza la fallacia normalizzatrice della logica securitaria e del miraggio della visione assoluta. Ciò che emerge da un'apparente mera perlustrazione ottica è infatti la complessa quotidianità che si inscrive all'interno dei limiti di una piazza e che si esprime nell'impossibilità di una fotografia omnicomprensiva. Non basta puntare l'occhio su uno spazio, per garantirne la sicurezza e la massima luminosità e trasparenza, anche quando si è scelto la posizione che garantisce la massima visibilità (il punto di vista del panopticon). Anche se lo si costringe spazialmente, o forse proprio per quello, l'occhio della macchina da presa permette di evidenziare ciò che continuamente scappa, sfugge, alla telecamera della sorveglianza. Ciò che conta è la qualità formale dell'occhio che si sceglie, prima ancora della sua posizione. E la costrizione, la linea esterna non valicabile, mette in evidenza il senso dell'interno, lo fa vibrare e ne sottolinea le linee di fuga, puntualmente messe in evidenza dal montaggio e dalla colonna sonora che, sola, apre la prospettiva della piazza verso il mare di Napoli. La costrizione spaziale diventa quindi supporto per un'elaborazione formale che, scartando qualsiasi opzione cronachistica, fa della narrazione per immagini dialettiche la propria cifra stilistica.
Anja Kirschner e David Panosscelgono la forma allegorica per rappresentare i processi di rigenerazione urbana che in Italia, come altrove – il loro territorio di riferimento è l'East End di Londra –, marginalizzano la popolazione residente per fare spazio ad attività e progetti più lucrativi. Trail of the Spider descrive questa guerra contemporanea tra real estate e comunità residenti attraverso il linguaggio e gli stilemi dei western di Corbucci e Castellari. Il film mobilita un vasto archivio di figure ed episodi del passato – le comunità Maroon, i black cowboys, le espulsioni delle tribù civilizzate e la prepotente creazione dello stato di Oklahoma – riprese e organizzate dai due autori in un breve reader a disposizione del pubblico. Non vi è alcun impiego della storia come citazione inerme, piuttosto come racconto sempre incompleto e da riattivare: sono le ambiguità, le fessure lasciate aperte dalla storiografia, i punti di partenza da cui si dipana la narrazione filmica dei due artisti8. Se le storie, come sostegono i Wu Ming, non sono che asce di guerra da disseppellire, Kirschner e Panos sembrano aver ben riesumato le armi per impiegarle a servizio di preoccupazioni e battaglie contemporanee9. La vicenda degli indiani d'America, a cui il film rimanda, è la travagliata battaglia di un popolo contro la perdita progressiva di sovranità sul proprio territorio avvenuta tramite espropri forzati ed un uso manipolatorio della legge – come ricorda Bruce Duthu10, i trattati bilaterali si trasformarono presto in accordi a beneficio di una sola delle due parti. Similmente, è con l'ausilio di sottili inganni legali e promesse spesso disattese che le amministrazioni locali cercano oggi di prevenire ipotetiche espressioni di resistenza della popolazione residente. Dopo una serie di continui ed impliciti rimandi, presente e passato convergono nel finale di Trail of the Spider. Lì viene infatti re-inscenata l'apertura della Unassigned Lands avvenuta nel 1885. Il Dr. Hartwell Carver – perito impegnato, sin dall'inizio del film, a mappare meticolosamente il territorio indiano intravedendone immense possibilità di rendita ("questa terra ci ricompenserà splendidamente", afferma ai suoi collaboratori) – spara un colpo di pistola a vuoto che ratifica l'ingresso dei nuovi abitanti. Se Carver è un personaggio del passato interno alla narrazione storica del film, il gruppo di occupanti che scalpita per entrare nel territorio liberato sembra avere delle fattezze esplicitamente contemporanee. Un nastro teso in mezzo ad un campo aperto frena i futuri abitanti, ma si tratta di un ostacolo momentaneo presto destinato a cedere alle pressioni della massa. La barriera fisica nel film è fittizia – una corda collocata in mezzo al nulla si può tranquillamente aggirare – ma drammatizza la violenza dirompente con cui i contemporanei meccanismi di gentrificazione – alla stregua dei conquistatori bianchi del passato – si impongono sul territorio.
È una porzione di spazio più ristretta il campo d'indagine di Jack Fisher, che trascrive scrupolosamente le frasi e gli slogan accumulatisi sulla parete della sede dell'Università di Firenze di Via Masaccio. Se il lavoro di Cartografia Resistente e dei Brave New Alps investiga le riconfigurazioni spaziali derivanti da precise scelte politiche, la riflessione di Fisher rileva la loro ricezione negativa nella forma di iscrizioni contestatrici sulle facciate della città. Non si tratta di frasi di senso compiuto, ma di giustapposizioni di parole appartenenti a discorsi e tempi differenti. La parete di via Masaccio è il risultato di una serie di iscrizioni, cancellazioni e riscrizioni: la rimozione è continua ma solo temporanea – cancellare è allo stesso tempo concedere la superficie ad una nuova possibile scrittura. Fisher trascrive e assembla le parole in un unico paragrafo tipografico, uniformando la stratificazione temporale rivelata dalle variazioni di intensità e leggibilità dei segni originari. Il risultato finale è un testo privo di ogni logica sintattica, in cui ad accostamenti casuali di lettere si alternano sia parole di senso compiuto, sia sintagmi in cui l'imperfezione ortografica lascia presagire un significato che non siamo in grado di verificare. Diversamente dai programmi di scrittura, che evidenziano i termini ortograficamente scorretti secondo il dizionario di riferimento, Fisher sottolinea i vocaboli esatti, come per indicare, in risposta alle continue rimozioni, l'ostinazione delle parole a significare.
Lungomare /Osservatorio Urbano decidono di formalizzare il problema della regolamentazione normativa tramite il setting del tavolo della discussione: l'amministrazione della città, rappresentata come gioco delle parti, mette in evidenza come tale gioco escluda costitutivamente alcuni partecipanti. Allo spazio della città si sostituisce un neutro tavolo del dibattito che è, in primis, un tavolo del potere. Ogni attore gioca tutte le parti, ma, coestensivamente, ogni parte gioca il proprio attore. L'assunzione a rotazione dei differenti ruoli sociali (dal sindaco al commerciante, dall'artista al turista e al migrante…) mette in evidenza le dinamiche di attribuzione identitaria agite dal diritto, in quanto accezione formale del potere, e le ricadute che queste hanno nell'indirizzare l'azione dei singoli individui. Nonostante che ogni soggetto ricopra tutte le parti, e quindi abbia la possibilità, nella durata del setting, di cogliere la complessità dell'intero tavolo /città e la relatività di ciascuna posizione, nel momento in cui interpreta uno specifico ruolo quest'ultimo occupa senza resti la sua interpretazione. Ne indirizza unilateralmente l'azione facendo in modo che il sindaco si dimentichi di essere stato anche un commerciante, piuttosto che il turista un migrante. Un tale gioco delle parti mette in evidenza le valenze simbolico /mimetiche del potere e la frequente impossibilità di un accordo rivela il limite della legge: non si tratta solo di legiferazione partecipata e di inclusività, ogni assunzione normativa è infatti imperfetta e non riuscirà mai a difendere gli interessi di tutte le parti sociali. Forse, come ha suggerito l'urbanista Paolo Cottino durante uno degli interventi seminariali di Disaccordi legali, occorre rinunciare ad un'operazione di sintesi e, di converso, cogliere le potenzialità progettuali implicate nei conflitti tra attori sociali che la complessità della contemporaneità presenta. Occorre mettere in evidenza le possibilità di mutamento insite in ogni tensione conflittuale, dar loro forma in termini di ricaduta generale, consapevoli che la vocazione all'universale si situa sempre a partire dall'azione da e per la parte.
Tellervo Kalleinen e Oliver Kochta-Kalleinen raccolgono le lamentele e i fastidi di un gruppo di fiorentini verso la propria città per trasformarle in un testo musicale. Grazie all'aiuto di un compositore, i cittadini organizzati in un coro si esibiranno poi in una serie di spazi pubblici di Firenze. Al di là dell'aspetto ludico ed un po' catartico che deriva dall'esternalizzazione dei disagi quotidiani, il lavoro degli artisti scandinavi getta inconsapevolmente luce sul ruolo esercitato dagli abitanti verso i meccanismi di controllo. Il lamento di alcuni, se non organizzato in protesta o proposta, viene trasformato in una supposta, in quanto non formalizzata, volontà popolare, di cui l'amministrazione politica si fa portavoce. Il governo di tali volontà e moti d'animo diviene così l'orizzonte d'azione del potere di polizia impersonato dal sindaco. L'attuale crisi della rappresentanza politica produce infatti un'incontrollata mobilitazione politica degli affetti e le pratiche disciplinari si insinuano in quella che si potrebbe definire l'evaporazione di un'etica delle passioni. Il potere governamentale si innesta sull'intercettazione dei desideri e delle paure, piuttosto che sulla gestione di dinamiche di carattere rappresentativo; i suoi leader si autoconvocano ad assumere il ruolo di attori dei sogni (e degli incubi) di cui i sudditi sono gli autori originari (Bascetta, Chignola, 2010). La delega-rappresentazione di stampo hobbesiano cambia di natura se ci si sposta dal piano razionale a quello dello emozioni. L'ordinanza, nello specifico, sembra incarnare questa traslazione e manifestare quindi la delega al sindaco, da parte dei cittadini, di manovrare ed esprimere le proprie paure. Solo tramite questa immedesimazione simbolica (una totale perversione del desiderio mimetico girardiano) si può infatti comprendere il placido consenso di massa ai dispositivi discriminatori che innervano le azioni governamentali: «la produzione indotta ma agevole di pulsioni xenofobe dal basso […] si gonfia in una limacciosa onda effettiva su cui galleggiano provvedimenti legislativi e amministrativi e si consolidano pregiudizi, comportamenti, intenzioni di voto" (Bascetta, Chignola, 2010, p. 16).
Se la governance consiste quindi nel mutamento dei dispositivi del binomio rappresentanza /rappresentazione e del dominio – e dunque è la manifestazione dell'irruzione di processi, interessi e soggetti che non sono collocabili nella tradizionale meccanica del consenso –, allora è vero anche che ci troviamo di fronte ad una trasformazione la cui posta in gioco è ancora da decidere, come ha sottolineato Sandro Chignola durante la tavola rotonda che ha concluso Disaccordi legali. Le ordinanze sindacali, seppur nella loro esplosione quantitativa diffusa, nel loro tentativo di regolare ogni attimo della vita e dell'attraversamento di un territorio mostrano l’incapacità del potere di regimentare la complessità del contemporaneo. Nelle falle della governance si apre un nuovo terreno d’azione politica. Il legale, esibendo i suoi muscoli di cristallo, rantola dietro il tentativo di governare uno spazio che non può più essere demarcato in modo apodittico e definitivo. Il disaccordo mette invece in evidenza quello che è lo scarto, quello che l'ordinanza non può ordinare. Un'azione politica, intimamente estetica, parte quindi non da una sovversione frontale del legale, ma dalla sottolineatura di quanto la griglia dell'ordinanza è destinata a lasciar fuori. Perché, si è visto, l’oggetto stesso delle politiche è sempre più veicolato da una coloritura simbolica, che stenta però ad essere assunta come il terreno elettivo sul quale mettere in atto i dissacordi e le lotte sociali. Lotte che debbono forse riassumere una componente progettuale in grado di interpellare le passioni del comune, a discapito di quelle della paura. Ma il terreno è tracciato e sarebbe una chimera la volontà di rispondere all’attuale crisi del concetto di pubblico con un ritorno a dinamiche meramente rappresentative. In gioco ci sono singolarità desideranti che, in una dinamica compositiva degli affetti, possono ritrovare la propria capacità progettuale, le proprie competenze creative (Cottino, 2009), a partire dagli interstizi che la governance, strutturalmente, è destinata a lasciare.
1 Modifiche introdotte con il d.l. 92 /2008, convertito in l. 125 /2008, di modifica all'art. 54, d.lgs. 267 /2000 (Testo unico sugli enti locali, TUEL):
co. 4. Il sindaco "… adotta con atto motivato provvedimenti, anche contingibili e urgenti nel rispetto dei principi generali dell'ordinamento, al fine di prevenire e di eliminare gravi pericoli che minacciano l'incolumità pubblica e la sicurezza urbana." I provvedimenti di cui al presente comma sono preventivamente comunicati al prefetto anche ai fini della predisposizione degli strumenti ritenuti necessari alla loro attuazione.
co. 4-bis. Con decreto del Ministro dell'Interno è disciplinato l'ambito di applicazione delle disposizioni di cui ai co. 1 e 4 anche con riferimento alle definizioni relative alla incolumità pubblica e alla sicurezza urbana.
2 A partire dalla prima metà del XVIII secolo nelle monarchie europee.
3 Il sindaco "adotta con atto motivato provvedimenti... al fine di prevenire e di eliminare gravi pericoli che minacciano l'incolumità pubblica e la sicurezza urbana." art. 54, d.lgs. 267 /2000 (testo unico sugli enti locali, TUEL).
4 Si pensi ad esempio alle ordinanze che, per colpire l'imprenditoria migrante, vietano nei centri storici esercizi commerciali (in particolar modo ristoranti e rosticcerie) che vendono prodotti non tipici di quel determinato territorio. Ovviamente qui non è in atto nessuna norma (quale norma presiede alla autenticità di un piatto di pasta?), ma una pericolosa, quanto inconsistente, idea di normalità.
5 Nel decreto emanato dal Comune di Firenze nel giugno 2009 si vieta di detenere, salvo il possesso finalizzato alla vendita autorizzata, confezioni di bevande alcoliche che per la quantità posseduta risultino non esclusivamente destinabili al normale uso personale anche all'interno della zona del Parco delle Cascine.
6 "Una vasta letteratura dà conto dell'operazione urbanistica che alla fine dell'Ottocento decretò la distruzione del nucleo medioevale di Firenze, sorto sulle rovine del Foro Romano: un'area che si estendeva dalle attuali via Porta Rossa a via Cerretani, da Piazza Strozzi e via dei Pescioni a via dei Calzuoli. Va dagli articoli sui giornali, dove si fronteggiano la protesta della parte più illuminata della cultura italiana e straniera e i fautori delle demolizioni in nome dell'igiene e dell'ordine pubblico, ai libri specifici dagli studi condotti prima e durante le demolizioni, fino alle più recenti pubblicazioni. Il 'riordino' del centro fu attuato dunque secondo un piano regolatore a lungo discusso e avversato, ma alla fine approvato il 2 aprile 1885 e rettificato in senso ancora più distruttivo nel 1888." (Sframeli, 2007, p. 9). "Uno degli ultimi interventi realizzati nel corso del risanamento del centro fu la ristrutturazione del palazzo arcivescovile [...]. L'impronta era quella data al palazzo negli anni dal 1582 al 1585 da Giovannni Antonio Dosio con la costruzione della facciata su piazza San Giovanni, considerata alla fine dell'Ottocento espressione di un "periodo di decadenza architettonica" e quindi da demolire senza rimpianto. […] La ristrutturazione del palazzo arcivescovile è uno di quei casi di silenzioso stravolgimento operati in nome del restauro, che per oltre un secolo e a più riprese hanno alterato il patrimonio monumentale fiorentino, così come ha ben messo in luce ormai diversi anni fa Marco Dezzi Bardeschi in apertura di catalogo di una coraggiosa mostra fotografica intitolata Firenze e il suo doppio. E in effetti Firenze annovera molti doppi fra le sue emergenze architettoniche, violenza che si somma alla totale distruzione del suo cento storico e della sua cerchia di mura trecentesche." (Sframeli, 2007, pp. 16 - 17).
7 Lo dimostra la recente rimozione dell'opera di Remo Salvadori parte del progetto Alla Maniera d'Oggi. L'installazione consisteva in un cerchio metallico collocato attorno alla Colonna di San Zanobi in Piazza San Giovanni.
8 La stessa Anja Kirschner, riferendosi al precedente lavoro Polly II, dichiara: "In un certo senso la trama di Polly II si basa su eventi attuali del diciottesimo secolo [...] Ma non intendo ritrarre o riferirmi a questi momenti per misurali contro le successive e molteplici disfatte, ne tantomeno presentarli come semplici e digeribili celebrazioni di un'eredità o di pura nostalgia [...]. Piuttosto, li riabilito perché sono in grado di penetrare il presente, attraverso la potente capacità comunicativa racchiusa in tutte loro ambiguità ed evocazioni". (traduzione dall'inglese nostra dell'intervista ad Anja Kirschner riportata nell'articolo Duck! You Regeneration Sucker di Neil Gray su Metamute)
9 "Certi uomini sono quello che i tempi richiedono. Si battono, a volte muoiono, per cose che prima di tutto riguardano loro stessi. Compiono scelte che il senno degli altri e il senno di poi stringono nella morsa tra diffamazione ed epica di stato. Scelte estreme, fatte a volte senza un chiaro perché, per il senso dell'ingiustizia provata sulla pelle, per elementare e sacrosanta volontà di riscatto. La retorica degli alzabandiera e la mitologia istituzionale offrono una versione postuma e lineare della storia. Ma la linearità e l'agiografia non servono a capire le cose. Le frasi fatte e le formule ripetute dai palchi, come dai pulpiti, coprono la rabbia, lo sporco e la dinamite, consegnando al presente quello che chiede. Scavare nel cuore oscuro di vicende dimenticate o mai raccontate è un oltraggio al presente. Un atto spregiudicato e volontario. Le storie non sono che asce di guerra da disseppellire." (Ravagli, Wu ming, 2000). 10 "In the 1875 the Federal Commission of Indian Affairs characterized treaties as 'mere forms to amuse and quite savages, a half compassionate, half contemptuous humorously of unruly children'." (Bruce Duthu, 2008, p. 168).
Bibliografia
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